Una domanda che scava dentro.
La senti dentro. Non puoi ignorarla. Provi a non farci caso, ma lei è sempre lì. Ti segue ovunque tu vada, nelle stanze che sei abituato da anni ad occupare mentre svolgi in modo ligio il tuo lavoro da anni, forse il tuo lavoro di sempre. E’ un senso di disagio sottile, un nervosismo appena percettibile.
Prima pensi sia stato per colpa di quell’utente un po’ più rognoso degli altri, quello che spacca il capello in quattro e che col telefono non ti dà tregua. Poi dai la colpa allo stress (tanto quello non manca mai !), che non ti fa dormire bene e quanto dovresti. Alla fine incolpi i colleghi ed i capi; ma non arrivi al punto, non ti spieghi quello che senti dentro, ormai da troppo tempo. Cerchi di dargli un senso, ma non arrivi a nulla.
La domanda che hai dentro
Per avere una risposta, serve ovviamente una domanda, ma non è così facile porsi quella giusta, anche se, a posteriori, ti accorgi che era una domandina facile facile…ma io, qui, sto ancora bene ?
Sì, è una domanda facile, ma implica la voglia di guardarsi dentro, e l’accettazione del rischio di trovare delle risposte poco tranquillizzanti. Perchè se la risposta e un “sì” sincero, tutto va bene. Congratulazioni, prendi un cachet per il mal di testa ed il giorno dopo potrai continuare la tua tranquilla vita di prima.
Ma se la risposta non è definitiva, oppure se si profila qualche avvisaglia di una risposta negativa, allora il caso sta per scoppiare. Un po’ come in un pubblico scandalo, in cui allo stupore ed incredulità iniziale seguiranno curiosità, voglia di giudicare, e ci saranno inevitabilmente fughe di notizie e fastidi connessi. Tutto dentro di noi, naturalmente. Noi siamo le pietre dello scandalo, noi gli incauti che lo faranno scoppiare, noi la stampa che lo racconterà, con dovizia di particolari ed un po’ di gusto nel rimestare nel torbido.
La goccia che scava
Ma sì, se state pensando che esagero, avete ragione. Almeno in parte, perchè tutto ciò che accade dentro di noi, soprattutto se ci fa soffrire, ottiene da noi stessi un’attenzione esagerata, è di fatto il centro dell’universo. Così è stato nella mia vita, ed immagino anche in molte delle vostre.
Ma ci ho messo parecchio tempo, anni, ad accorgermi di quel problema, di quella goccia che scava dentro.
Alla fine però, ho dovuto ammettere che il contesto in cui mi muovevo, parlavo, prendevo decisioni, non era più per me. Non saprei dire con certezza quando sia cominciata a sorgere quella domanda, così come non saprei dire come si sia manifestata, l’inquietudine. Semplicemente è stato, per quanto mi riguarda, un crescendo di sensazioni di estraneità a ciò che mi era sempre stato familiare, quel modo di essere ed quel modo di vivere, il lavoro innanzitutto.
Difficile ammetterlo
Prima di ammettere che era “semplicemente” voglia di cambiamento, desiderio di novità nella mia vita, è passato del tempo, molto. In effetti non siamo nella naturale disposizione mentale di accettare l’idea che ad un certo punto la nostra mente abbia bisogno di un cambiamento anche radicale, di un ambito nuovo, soprattutto professionale, in cui misurarsi, in cui provare nuovamente un senso di scoperta, di sfida, il desiderio di costruire ancora.
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Del resto sono convinto che, a differenza di quanto comunemente si pensi, la maturità non corrisponda per forza e sempre all’età della ragione. Il cambiamento, o perlomeno l’esigenza di nutrire la nostra anima con nuove cose, non per forza viene archiviata con l’età matura, anzi. Per quello che riguarda me, si è rafforzata man mano che il tempo è trascorso, è cambiata di intensità, ma soprattutto di natura; non più un’idea vaga, ma una voglia che è divenuta urgenza.
Le passioni sepolte
Spesso abbiamo delle predisposizioni, delle voglie, delle passioni, ma poi per mille motivi decidiamo di non fare l’azione più istintiva, cioè quella di seguirle. Dedichiamo la vita a lavori di cui in fondo non ci importa un granchè, quando non li detestiamo apertamente. E può succedere che poi, magari tanti anni dopo, la mente reclami un suo territorio che le è stato tolto a tavolino.
Il fatto è che se cambi artificialmente il corso di un fiume, si dice che col tempo lui se lo riprenda…a volte con violenza, travolgendo tutto e tutti.
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