IL LAVORO DI SQUADRA
E’ un mito. Come la Chimera. Come le Arpie. Il lavoro di team per me è come il Chupacabra dei messicani. Tanti dicono di averlo visto, ma poi nessuno ha potuto esibire le prove. Se preferite, è il mostro del lago Loch Ness.
Il lavoro di team è stato la favola bella dei banchi dell’università, in cui mi dicevano (e scrivevano nei testi d’esame), che il lavoro di squadra era il caposaldo dello sviluppo futuro. E che di conseguenza, nessuno sarebbe più stato solo su una linea produttiva o seduto alla scrivania di un ufficio. I suoi pensieri, e le sue azioni, sarebbero stati interdipendenti con quelle di altri.
Solo gli stupidi avrebbero lavorato da soli, gli illuminati erano quelli che avrebbero sacrificato l’ego perchè il gruppo ottenesse il risultato. Accidenti, mai messaggio fu più penetrante, per me. Mi sono sempre visto parte di un team di persone entusiaste di portare il proprio contributo alla causa comune, qualunque essa fosse, certe che poi tutti i membri del gruppo ne avrebbero beneficiato.
Una dura realtà
Lo so, torna quell’essere idealista di cui si parlava in precedenza, e proprio in quel senso deleterio d’ingenuità. La realtà che poi avrei trovato infatti, sarebbe stata ben diversa. In generale, si ha la sensazione di lavorare da soli, con la propria quota produttiva da definire (il fatto che siano pratiche, e non pezzi da montare, poco cambia), senza che vi sia un intento comune. O se volete, senza che questo intento comune sia percepito come fondamentale per orientare il proprio lavoro.
Il problema non è da poco, perchè se la fabbrica (o l’ufficio) non può essere una seconda casa, come qualche imprenditore propugnava ai tempi del boom economico degli anni ’60, è pur vero che qualcosa deve pur rappresentare. Il lavoro non può essere solo una questione di numeri individuali e di confronti di produttività fra diversi uffici, il famoso “benchmarking”.
Precarietà e stress
Tra l’altro il periodo di crisi economica esploso dopo il 2011, che ha messo in forse il concetto di lavoro a tempo indeterminato, non favorisce certo l’identificazione con l’azienda per cui lavori. Anche perchè la stessa potrebbe “scaricarti” per sempre dopo solo qualche mese di collaborazione, in cui magari, a dispetto degli studi che hai seguito, svolgi un lavoro di basso contenuto.
Oltretutto se non si fanno assunzioni, ed il ricambio delle persone che vanno in pensione diviene un tabù, è difficile proporre ai membri del team concetti come: arricchimento delle mansioni, riunione operativa, intercambiabilità del lavoratore nelle competenze. Ad una collega già oberata al limite di una crisi di nervi, l’arricchimento delle mansioni apparirà come l’ennesimo aggravio quantitativo, in una situazione magari già disperata…e mi sa che ha ragione lei, di fatto…
E poi, ad un responsabile di team i cui componenti siano stati tutti spostati altrove, o salutati per l’ambìto pensionamento, come si potrebbe parlare di lavoro di team, con un team che non c’è praticamente più ?
Insomma, per quanto ho potuto constatare, c’è molta distanza fra le lezioni dei professori universitari che seguii negli anni novanta e ciò che ho sempre visto accadere in concreto sul lavoro.
Congiuntura economica a parte, è anche un problema di cultura.
Ipocrisia
Ho la sensazione che ci sia un‘ipocrisia profonda, nel mondo del lavoro. Pare che tutti possano fare tutto senza imparare praticamente nulla. Si dice che è bene tagliare le spese di formazione, quindi si mette un nuovo collega ad effettuare un lavoro, dandogli solo poche dritte, anche se magari il compito ha un contenuto tecnico o normativo non da poco. Così si va avanti in qualche modo, come musicisti che suonino improvvisando.
Così è per i responsabili, che spesso vengono posti a dirigere unità di cui conoscono molto poco, in termini tecnici e di situazioni umane. Per il lavoro di team è lo stesso, uno dei momenti chiave del lavoro viene svilito da musicisti che suonano improvvisando, ma senza conoscere bene le note.
Non so a quante riunioni ho partecipato, in cui direttori discutibili facevano l’elenco degli uffici buoni e di quelli cattivi, report numerici alla mano, senza neppure sapere di cosa stessero parlando.
Le ho odiate tutte, quelle riunioni, senza eccezione. Tempo gettato, e grave emorragia di motivazione.

E così resto sulla sponda del lago, sperando che Nessie prima o poi si faccia vedere…
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