La fondamentale motivazione al lavoro
Non dico che i lavoratori dipendenti vadano trattati con i guanti bianchi. Ci mancherebbe. Si viene pagati per fare un lavoro, non è una gita di piacere. Un datore di lavoro ti dice cosa devi fare, e tu lo fai, nei modi che lui fissa. Il “cosa” ed il “come”, lo decide lui.
Nulla di strano, fin qui. Ma il lavoro è svolto dagli esseri umani, e gli esseri umani hanno delle necessità. Hanno il vizio di porsi domande, in linea di massima non possono agire a lungo senza sapere i motivi per cui le loro azioni sono poste in essere.
Avere uno scopo
Ma c’è di più. Hanno bisogno di uno scopo. Lo so che in questo momento sono nel campo dell’ovvietà, ma per quanto ho avuto modo di vedere, sul lavoro questo concetto non è affatto scontato. Spesso non si ha il sentore di azioni dirette ad uno scopo. Si lavora, punto.
Ma quando si divide con altre persone una stanza quasi per ogni giorno che Dio ha creato, si vorrebbe sapere anche dove si va. E perchè. Invece ti danno dei numeri. Sì, tabelle con obiettivi. E tu ti sbatti per raggiungere l’obiettivo, anche perchè al raggiungimento del medesimo sono legati dei soldi. I famosi incentivi.
Ma è noto che la leva retributiva da sola non basta ad assicurare il coinvolgimento pieno e totale delle persone nel lavoro che stanno facendo. Serve altro. E questo “altro” riguarda non il lavoro in sé, bensì la sua rappresentazione nelle menti degli individui, in altre parole tutte le emozioni legate allo suo svolgimento, con la valenza che la persona gli attribuisce.
Un processo discutibile
Per esempio, nella realtà in cui ho prestato lavoro per molti anni, all’inizio le cose erano diverse. Non voglio certo dire che non ci fossero problemi. Quelli non mancano mai. Ma i problemi si affrontano, giorno per giorno, mettendoci la giusta dose di energia. E l’energia la trovi dentro di te, ok…ma è più facile se sei motivato. Ecco, se dovessi dire in cosa differiva la situazione lavorativa che si viveva all’inizio degli anni 2000, direi che la diversità stava principalmente nel fatto che attorno a me vedevo perlopiù gente motivata.
E lo ero anch’io. D’accordo, ero più giovane ed energico, ma questo spiega solo una piccola parte del cambiamento in negativo che si verificò poi. Ciò che accadde negli anni successivi fu che tutto si rimpicciolì. Si ridussero gli organici, le persone che andavano in pensione non venivano più sostituite; c’era più lavoro per ognuno, ma ci sta, in una politica generale di riduzione dei costi. Non fu un problema, fino a quando le persone diventarono così poche che lo stress divenne un compagno sempre più invadente.
Si ridussero le tempistiche, ed anche qui di per sé la cosa era comprensibile, dovevamo fare lo stesso lavoro con meno persone. Logico. Salvo poi accorgerci, col tempo, che certe tempistiche parevano fissate dal primo ominide che passa in strada, non da esperti del settore. Si ridusse la formazione sul campo: all’inizio veniva svolta da formatori ufficiali, pagati allo scopo, che ti affiancavano per giorni. In seguito a tagli di bilancio, fu svolta da colleghi più esperti, adeguatamente incentivati economicamente.
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Alla fine vennero meno anche quegli incentivi, e la formazione somigliava più che altro ad volontariato telefonico fra sedi di diverse province. Ma quel che è peggio, è che si ridusse anche il senso di un compito da svolgere; quella sensazione che, almeno per me, era la linfa che forniva l’energia per affrontare tutti i problemi lavorativi ed umani che inevitabilmente affliggono tutti noi, ogni giorno. Gradualmente veniva meno il sentirsi importante. Importante per qualcosa, importante per qualcuno, a prescindere da quanto in alto sei nella piramide gerarchica.
Nel giro di pochi anni, si era perso un senso di appartenenza. Ed in ultima analisi, ciò che si era ridotto era la motivazione al lavoro. Lasciare che su vasta scala venga meno la motivazione al lavoro è un peccato capitale, perchè si distrugge la possibilità per il lavoratore di contribuire attivamente al miglioramento dell’attività stessa, con sforzi, idee, confronti.
E non stupisce che in tale contesto si possa osare sognare un cambiamento. Essere chiusi in un ascensore che può solo scendere è decisamente inquietante….
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