Il desiderio di lavorare insieme
Forse sono un idealista. Probabilmente lo sono sempre stato. Sì, è un concetto bellissimo, perchè è chiaro che l’idealista è un parente stretto del sognatore. Il fatto è che una delle caratteristiche attribuite per definizione ad un idealista è la mancanza di senso pratico. L’idealista si muove secondo il desiderio che la sua visione del mondo gli suscita, anche quando la realtà gli mostra tutt’altro.
Un desiderio che ho sempre avuto, è quello di condividere un’esperienza lavorativa ad un certo livello. L’esperienza che ci si presenta quando facciamo parte di un’azienda di produzione o di servizi è quella che ci porta ad ottenere un risultato, e quasi mai lavoriamo da soli; è normale avere più relazioni con uffici diversi o livelli superiori o inferiori della struttura aziendale. Ovvio.
C’è un lavoro da fare, ed in qualsiasi azienda si fissano degli obiettivi. Le persone si organizzano per conseguirli, ed ogni ufficio si dà delle prassi, anche a seconda delle caratteristiche delle persone che lo compongono. Ovvio anche questo.
Ma ciò che è meno ovvio è il modo in cui si interpreta lo stare quotidianamente dentro questa esperienza. Intendiamoci, non sono ingenuo a tal punto da pensare che non debbano esistere contrasti, quando si va nello stesso posto a lavorare per più di duecento giorni all’anno e si finisce inevitabilmente per trascorrere più tempo con il collega che con la propria moglie, o marito.
Punti di vista
I caratteri diversi ed il diverso modo di vedere le impostazioni e le soluzioni di lavoro portano inevitabilmente a scontrarsi, prima o poi. Nulla di scandaloso, fa parte dell’animo umano. Quello che non ha mai cessato di stupirmi, in negativo, è il fatto che si fa in modo di rendere regola ciò che dovrebbe essere un’eccezione. Si sta in ufficio per svolgere il proprio lavoro e ci si ferma lì, non si alza lo sguardo per considerare anche ciò che sta a monte e ciò che sta a valle del medesimo.
Ci si fissa su sé stessi, in un narcisismo un po’ stantio, che si traduce in un voler ben figurare individualmente, senza considerare, se non in via residuale, il fatto di essere in una squadra. Ma la squadra deve per forza guardare e muoversi in un’unica direzione, se vuole conseguire l’obiettivo per cui esiste. Ciò non vuol dire non poter avere il desiderio di mettersi in luce individualmente, ci mancherebbe.
Ma questo legittimo desiderio dovrebbe essere al massimo sul gradino numero due del podio. Per il semplice fatto che sul gradino più alto dovrebbe esserci la voglia di stare bene con i colleghi. Giusto, è una considerazione poco pratica, tipica di una visione idealistica della questione. A scanso di equivoci, non sto parlando di un generico “volemose bene”, detto con l’espressione semideficiente di quando hai preso una sbronza e ti senti in pace con tutti a causa dell’eccessivo tasso alcolico.
Arena aziendale
Intendo un atteggiamento maturo, che ti porta a capire che l’ufficio non è un’arena di gladiatori (sfigati) che devono quotidianamente dimostrare di esistere sminuendo il collega, il capo, il subalterno. Ci passiamo otto ore al giorno, se non di più, fra le mura aziendali, per oltre duecento giorni l’anno. In pratica, ci passiamo la vita. E se i colleghi sono dei nemici, se il loro desiderio principale è quello di farci del male, diventa una vita molto difficile. Chi sul lavoro ha subito mobbing o ha avuto un lungo periodo di contrasti, sa di cosa parlo.
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A volte il distributore di caffè sul pianerottolo è un luogo ad alto rischio. Ho visto volare commenti devastanti, in quei pochi metri quadri, al punto che alcuni colleghi non ci andavano più. Gli idealisti non avranno senso pratico, ma non vedo che praticità ci sia nello scavare trincee in un luogo che deve produrre beni, servizi, valore aggiunto. Anche perchè si sa, per scatenare qualsiasi guerra nel mondo basta che una sola parte sferri l’attacco; ed a proposito di guerra, e di desiderio di fare del male, mi ricordo come esordì il mio responsabile nel discorso a noi giovani neo-assunti, molti anni fa: “ricordatevi che qui noi stiamo combattendo una guerra…” …non è necessario che vi dica come furono gli anni di permanenza in quel posto.
Mi è capitato di rado, purtroppo, di entrare in sintonia con uno o più colleghi, non solo dal punto di vista tecnico, ma anche umano; ma quando è accaduto, il modo di vivere le giornate era completamente diverso, e non c’era individualismo che tenesse: solo il desiderio di ottenere il meglio da tutti noi, insieme.
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