I SOGNI CHE FACEVI DA BAMBINO

by Libero di Cambiare
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L’importanza dei sogni.

Da piccolo volevo fare l’astronauta. Sì, uno dei miei sogni preferiti era quello di volare nello spazio. Di certo il programma spaziale americano Apollo, che nei primi anni settanta del secolo scorso vedeva decollare le sue ultime missioni, aveva avuto la sua influenza.

Disgraziatamente, l’Italia allora non era un paese coinvolto nella corsa allo spazio, e questo fu certamente un problema, per il mio sogno. Del resto, più tardi negli anni avrei scoperto che ho decisamente paura di staccarmi dal suolo, anche solo per volare una cinquantina di minuti per andare in vacanza nella vicina Sardegna.

I piloti delle missioni spaziali, in ogni caso, devono essere in perfette condizioni di salute. Io invece, fin da piccolo sono predisposto alle malattie respiratorie, e dall’età di quindici anni ho manifestato miopia visiva. Dimenticavo, i miei denti mi hanno sempre dato problemi…a parte questi trascurabili inconvenienti, so che sarei stato un astronauta meraviglioso… :o)

Sogni sconfinati

Da bambini abbiamo un intelletto vivissimo, straordinario. I nostri sogni sono grandiosi. Non abbiamo confini, nella nostra mente possiamo conquistare qualunque cosa. Soprattutto abbiamo un meccanismo misterioso che ci fa ignorare un concetto orribile: il fallimento. Il fallimento, fino ad una certa età non esiste. Facciamo le cose perchè ci va, per vedere che effetto fa…non ci poniamo il problema di confrontare il risultato ottenuto con uno standard, o con i risultati altrui.

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Poi ovviamente la questione cambia. Si comincia con la scuola dell’obbligo per finire all’università, si viene messi a confronto mediante dei numeri, i voti. Certo, credo che la vita adulta si nutra, per molti aspetti, di confronti…è indispensabile poter scegliere il meglio, ed i numeri sono l’unico modo per confrontare in maniera assoluta i risultati.

Costretti a misurare sè stessi

Non so cosa accada dentro di noi, ma so che da un certo punto in poi iniziamo a “sezionarci”, ad analizzare tutti i nostri comportamenti in termini di giusto e sbagliato, classificando tutti gli esiti delle nostre azioni in termini di successo o fallimento. Concetto, quest’ultimo, che non può mai prescindere da un certo grado di soggettività. Spesso infatti, quello che poi è semplicemente un risultato, viene bollato, da noi stessi o da una persona terza, come un mancato raggiungimento della meta.

Mi ha sempre creato un senso strano il fatto che un impresa, per poter essere dichiarata fallita, abbia bisogno di un atto del tribunale, mentre per dichiarare il fallimento della vita di una persona basti a volte il giudizio, spannometrico, di una persona che spesso si arroga il diritto di darlo.

Così la nostra attenzione cambia, si fissa solo su ciò che è andato male, mentre i piccoli successi sono dati per scontati, da noi stessi come da chi ci sta vicino, datore di lavoro compreso. Nei lunghi anni di permanenza in ufficio, non è praticamente mai capitato che i direttori mi convocassero per complimentarsi per i risultati raggiunti: le chiamate in direzione avevano di solito come scopo il far notare una performance inferiore alle aspettative. E’ chiaro che così è difficile ottenere persone motivate, sulle scrivanie.

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Così i sogni si affievoliscono, si appannano, e piano piano scompaiono, e nell’età adulta la capacità di sognare non solo viene mandata in esilio, ma ci si guarda bene persino dal citarla nelle conversazioni di tutti i giorni. Il fatto è che i sogni sono il carburante dei progetti: tutti coloro che hanno realizzato qualcosa di grande o di piccolo hanno avuto il sogno di farlo, dentro di sé, magari coltivato per anni ed anni.

Credo che se non vogliamo spegnere in anticipo il nostro cervello, la capacità di generare sogni sia fondamentale. Non devono essere per forza imprese mirabolanti o invenzioni rivoluzionarie. Basta che siano idee che ci facciano evolvere, che ci diano emozione e la sensazione di progredire verso un miglioramento di noi stessi. E se non siamo vincenti da subito, non massacriamoci; Thomas Edison la somma di tutti gli errori non la chiamava fallimento: la chiamava esperienza.

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