Carriera ed ottimismo collettivo.
Ho trascorso la maggior parte della mia adolescenza negli anni ottanta. Gli anni dei capi griffati, gli anni dell’apparire, delle aziende in espansione e delle carriere brucianti. Chi ci è cresciuto sa di cosa parlo.
Le aziende, molto spesso piccole o medie imprese, offrivano molte opportunità lavorative, e chi ci sapeva fare poteva salire anche molto rapidamente nella scala sociale. E chi ci era riuscito, non faceva mistero dei risultati raggiunti, mostrando i segni tangibili dell’agio economico con acquisti importanti, i cosiddetti “status simbol”.
Anni d’oro
Anni strani, indubbiamente. Anomali, nel loro essere apparentemente tutti d’oro. Anni in cui tutto pareva possibile, più o meno per tutti. Gli yuppies facevano notizia, esibendo le loro donne da urlo ed un tenore di vita che tutti avrebbero voluto avere. I grandi manager ed i capitani d’industria erano i nuovi divi.
Pareva davvero che il ciclo espansivo non potesse arrestarsi mai. Invece, già dall’inizio del nuovo millennio qualche avvisaglia di calo si era vista. Poi sappiamo com’è andata. La crisi internazionale è arrivata come una secchiata di acqua gelata in spiaggia a ferragosto, rivelando tutta la fragilità del nostro sistema economico.
Tutto da allora è diventato difficile, e di quelle carriere rapide e vincenti è rimasto quasi solo il ricordo. Non dico che nessuno possa più fare carriera, dipende da quanto una persona la desidera, da quanto è predisposto ad incarnare un certo tipo di ruolo, dalle doti di ognuno. Solo che ora tutto pare in discesa, tutto sembra precario e destinato ad avere vita breve.
L’atmosfera è cambiata
Al di là dei dati macroeconomici o delle stime sul pil, ciò che è cambiato è l’atmosfera che si respira, quando si parla di economia, quando si parla di investire, quando si parla di creare nuovi posti di lavoro. Le carriere nascono dai progetti, ed i progetti nascono dalle opportunità. Al di là del fatto che in oltre trent’anni l’economia internazionale è cambiata moltissimo, non riesco a credere che non esistano più opportunità di lanciare progetti importanti, che coinvolgano le persone e creino la possibilità di carriere importanti.
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Ascoltavo un economista in un dibattito televisivo, due giorni fa, ed ha detto una cosa che mi ha molto colpito, nella sua semplicità: sosteneva che per quanto riguarda l’Italia, è il pessimismo che si è diffuso in questi anni difficili ad impedire la crescita, più ancora della congiuntura economica difficile a livello globale. Credo che abbia ragione, e non so cosa potrà portare di nuovo l’ottimismo negli imprenditori, ma spero accada presto.
Gli anni ottanta del secolo scorso non torneranno più, e forse non è un male, dato che scaturirono anche da un’economia “drogata”, da un’espansione forse eccessiva. Il denaro, le carriere, crearono atteggiamenti superficiali che probabilmente ora farebbero persino sorridere. Ma quegli anni avevano un ingrediente prezioso, che ora non avverto più nel nostro vivere quotidiano: l’ottimismo, la quasi certezza di trovare uno sbocco, un’opportunità, la propria strada.
Senza prospettive
Ora, giovani o maturi che siamo, sentiamo parlare quasi esclusivamente di debito pubblico e di recessione. Di certo questo non contribuisce a visualizzare un esito positivo per la propria vita, e le vittime maggiori sono ovviamente i giovani, che l’esistenza ancora devono pianificarla e viverla.
Non credo che la ricetta per uscirne sia facile né immediata, ovviamente. Ma spero che non passi troppo tempo, si rischia di vedere completamente rovinata la capacità di una generazione di concepire in positivo il futuro, di desiderare di realizzare qualcosa, invece di rassegnarsi ad un certo stato di cose.
Spero che i giovani possano tornare a sentire di avere la possibilità di impegnarsi in progetti importanti, e perchè no, di avere una carriera soddisfacente…spero però che quando questo accadrà, non tornino ad esibire i propri risultati…quei tizi degli anni ottanta erano davvero dei vincenti un po’ patetici…
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