Eniola Aluko e l’ombra del razzismo
Un velo di tristezza. E’ ciò che è calato dentro di me quando ho saputo della tua decisione. Sarà per il fatto che mi piace il calcio, ed ultimamente il calcio femminile ha rubato un pezzo del mio cuore. Mi fa tornare al calcio che vedevo da bambino, più di quarant’anni fa, è fatto da giocatrici concrete, non da contratti milionari.
Sarà che nelle poche occasioni in cui ho avuto l’occasione di vederti partecipare ad un match mi avevi fatto pensare che la Juventus avesse ancora una volta azzeccato il suo acquisto. Ed un acquisto azzeccato, in genere non se ne va tanto presto.
Sarà anche per il fatto che proprio in questi giorni sto leggendo, con una certa lentezza per la mia non proprio eccelsa dimistichezza con la lingua inglese, il tuo libro autobiografico, They don’t teach this, in cui dici molto di te stessa.
Acqua gelata
La notizia arriva un po’ come una doccia fredda, ed all’inizio stenti a crederci. Eniola Aluko se ne va, lascia il calcio femminile italiano, ed il motivo non nasce da problemi fisici, nè da contrasti di spogliatoio. Decide di andarsene perchè si sente in qualche modo discriminata.
Ho cercato di capire quale fosse l’atto di razzismo alla base di una decisione così drastica: scopro che di atti non ce ne sono stati. Mi colpisce però, nella confusione che provo, la frase in cui dici che “avevi la sensazione che nei negozi si aspettassero che tu rubassi qualcosa“.
Mi chiedo allora cosa sia un atto di razzismo. Di norma direi un’aggressione fisica che lasci qualche danno visibile, o almeno un insulto che accenni, in maniera velata o meno, al colore della pelle, alla provenienza geografica della persona. Oppure un atto, magari ben mascherato, che impedisca a qualcuno di partecipare ad un evento, o di usufruire di un diritto.
Nulla è successo ?
Ma nel tuo caso, Eniola, nulla di tutto questo è accaduto. Paranoia ? Temo proprio di no, troppo semplice. Noi non comunichiamo solo con le parole, gli sguardi dicono tanto. Uno sguardo può esprimere l’amore che le parole non possono descrivere, non si dice forse “te lo leggo negli occhi” ?
Sì, ma allo stesso modo lo sguardo può comunicare sentimenti negativi, può ferire. Forse uno di quei negozianti, guardandoti, ti ha comunicato sospetto, diffidenza o chissà, disprezzo. E così posso cogliere il fatto che quelle persone ti abbiano fatta sentire “diversa” per il colore della tua pelle.

Sì, penso proprio che l’atto di razzismo ci sia stato. Ma è stato silente, e perciò non dimostrabile. E’ un po’ come quando una persona subisce violenza psicologica: non ha graffi o lividi sulla pelle, ma soffre ugualmente molto, anche se in un senso completamente diverso. E soprattutto, fa fatica a comunicare agli altri il suo disagio.
Avrei voluto che tu potessi reagire in maniera forte alla situazione, e rispondere nella maniera più naturale possibile, con le tue corse, i tuoi tiri, i tuoi gol. Anche perchè non credo che gli italiani siano più razzisti di altri popoli; accanto a chi sbaglia facendosi prendere da idee di discriminazione, ci sono tanti altri che cercano ogni giorno di abbattere i muri dentro le proprie menti.
Ma si sa, è facile giudicare come giocano gli altri, standosene tranquillamente a bordocampo. Ed io non sono certo che, trovandomi al posto tuo, Eniola, sarei rimasto più a lungo. Ed immagino che diciotto mesi vissuti male, possano esserti parsi un’eternità.
Così non mi resta che salutarti, con quel velo di tristezza che faccio fatica a scrollarmi di dosso. Ho la speranza che però non sia un addio, ma un arrivederci, e che tu possa tornare un giorno a calcare i nostri campi da gioco. Del resto, per non vedere più razzismo nel mondo, dovrai rinascere. E non solo una volta, temo.
Foto iniziale di Steve Watts da Pixabay